Iconography

Iconografia della paura.

a cura di Luca Acquarelli

 

Presentiamo una serie di immagini che hanno a che fare con la paura. La paura è una passione disforica che può essere generata nell’osservatore grazie all’efficacia dell’immagine, la funzione dell’immagine stessa di provocare timore. Oppure l’immagine può rappresentare il senso della paura, quasi allegoricamente, cioè può fare di questa passione qualcosa di iconico. Le immagini che qui proporremo per una breve e non esaustiva mostra virtuale della paura si contendono questi due aspetti. I tipi di paura evocati cambieranno nella rapidissima rassegna che abbiamo l’ardire di proporre e con essi cambierà, in quanto determinata storicamente e culturalmente, la strategia che porterà l’immagine ad essere efficace, “paurosa”.

La serie di immagini è in continuo aggiornamento.

1. Michelangelo Merisi detto il Caravaggio, Testa di Medusa – c. 1596-98 – olio su tela riportata su scudo di legno – diametro 55 cm – Firenze, Uffizi (via Wikimedia Commons).

Commissionata a Caravaggio dal cardinale Del Monte, la testa di Medusa è posta sullo scudo da parata che verrà donato a Ferdinando de Medici. La tradizione di raffigurare la Medusa su uno scudo risale come noto alla mitologia classica. La direzione verso il basso dello sguardo di questa Medusa sembra giustificare la posizione del cavaliere, in sella ad un cavallo, una posizione sopraelevata rispetto agli astanti in contemplazione ai margini di una parata.

 2.Luca Signorelli, L’inferno – 1499-1503 – affresco – Orvieto, Duomo, cappella di San Brizio (via Wikimedia Commons).

Il tema dei “giorni ultimi” trova nell’Inferno di Luca Signorelli una delle rappresentazioni più tragiche e orrorifiche. Il corpo del dannato si fa sempre più anatomico e aspramente realistico. Le cromature investono le trasformazioni dei corpi che trasmettono la dannazione come un contagio. La carnalità degli spasmi per il dolore e le violenze, tenendo conto della grandezza dell’affresco e della sua posizione sopraelevata, rendono l’immagine di una stravolgente efficacia.

L’affresco fa parte di un ciclo molto esteso che si trova all’interno della Cappella Nova o di San Brizio del Duomo di Orvieto. La decorazione della volta fu iniziata da Beato Angelico quasi mezzo secolo prima ma le pareti e i basamenti sono opera del Signorelli.
Come sottolinea Scarpellini (1991, 94) nei lunettoni troviamo “l’immediatezza violenta, aggressiva, la forzatura icastica, di chi si proponeva di far paura”. D’altronde la committenza da parte dei teologi del Duomo d’Orvieto tende proprio a questa efficacia, quella di intimorire i fedeli sulle conseguenze di comportamenti eretici o non in linea con i dogmi. Lo sfondo degli eventi sembrava infatti minacciare l’effetto del “timor di Dio”: nel maggio 1498 era stato giustiziato Savonarola che si scagliava contro le lussurie della Chiesa e comunque erano già in atto in Germania i primi movimenti che porteranno alla Riforma luterana.
Ci sono però altre interpretazioni del ciclo di affreschi (a partire da quella di Gigante, 1999) che evidenziano una fruizione più eminentemente colta dell’intero apparato, partendo dall’analisi delle figure riprodotte nei basamenti e dagli “osservatori delegati”, figure disegnate proprio nell’atto di guardare gli affreschi (compreso un autoritratto del Signorelli) che stanno come ad indicare il modo in cui contemplare le immagini, più propriamente estetico.
Nonostante ciò non possiamo non notare l’impatto più diretto del ciclo di affreschi, e soprattutto del lunettone dell’Inferno (anche detto dei Dannati), quello della paura di un destino di non salvezza, perpetrato con estrema violenza.

 

Gigante, E.,"Il pittore e lo spettatore. Forme dell’enunciazione enunciata negli affreschi di Luca Signorelli a Orvieto” in Corrain, L., (a cura di), Leggere l’opera d’arte II, Esculapio, Bologna, 1999, pp. 15-26.
Scarpellini, P.,“L’ispirazione dantesca negli affreschi del Signorelli”, in Gizzi, C., (a cura di), 
Signorelli e Dante, Electa, Milano, 1991.

3. Francisco Goya, Saturno devorando a un hijo - 1819-1823 - olio su intonaco - 146 x 83 cm - Madrid, Museo del Prado (via Wikimedia Commons)

Fa parte delle pinturas negras, una serie di affreschi che Goya dipinse in una parte della sua dimora. Senza condizioni di commitenza, l’artista sembra dare massima libertà alla sua ispirazione. Saturno mangia i suoi figli per sfuggire alla profezia che prevedeva che uno di essi l’avrebbe spodestato: nei suoi occhi la folle paura di perdere il potere.  

 

4. Gustave Courbet - Le fou de peur ou le desespéré - 1845 - olio su tela montata su legno - 60,5 x 50,5 cm - Oslo, Nasjonalmuseet

Questo quadro non è fra i più conosciuti del grande pittore francese, Gustave Courbet, il pittore del realismo per eccellenza. La figura romantica del folle disperato di paura che vaga in un paesaggio naturale assume qui dei contorni molto realistici e quell’aggettanza pronunciata nella mano e nella posa poco stabile quasi in procinto di cadere, aumenta l’efficacia dell’effetto di realtà del quadro. E’ probabilmente un autoritratto, pensando anche ad un chiaro precedente, (Portrait de l'artiste, dit le Désespéré, sempre del 1845). L’abito inusuale fornisce al soggetto uno statuto ancor più fuori dal normale, un soggetto che sembra cadere in un vuoto che mal si associa ad una qualsiasi forma riconoscibile del mondo (probabilmente il quadro rimase incompiuto).

 

5. Edward Hopper, Approaching the city, 1946 – olio su tela – 36 X 27 cm – Washington, Philips Collection.

Uno dei maggiori esponenti del realismo Americano del XX secolo, Hopper, in questo quadro, con una purezza quasi metafisica, offre la tensione dell’avvicinamento alla città. Delle rotaie, elementi che danno la direzione di lettura a tutto il quadro, entrano in un tunnel nero, un nero che ingoia ogni contorno e forma. Da destra a sinistra, il quadro è una progressione di perdita di cromatura verso un marrone desertico e verso la perdita delle aperture come quella del colore vivo del cielo. Più che l’anti-urbanesimo di Hopper, la vertigine di una paura.

6. Francis Bacon - Study after Velàzquez's Portrait of Pope Innocenzo X - 1953 – olio su tela – 153 X 118 cm – Des Moines (Iowa), Des Moines Art Center.

Il riferimento esplicito al quadro di Velasquez (Innocenzo X, Roma, Galleria Doria Pamphili) è prova dell’ossessione che Bacon aveva per questo ritratto, che fu ispirazione per molte altre sue opere. Scompare il rosso cardinalizio del dipinto di Velasquez e appare un viola livido che tende al nero. Si spalanca il viso in un urlo dissacratore. Le linee sprigionano la forza dell’immagine ma allo stesso tempo imprigionano il grido assordante del soggetto, immobilizzandolo. Una contrapposizione di forze inquietante che genera quello che per Deleuze provoca l’“agire direttamente sul sistema nervoso dello spettatore reale”.